STRANIERI OVUNQUE?
60. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE, VENEZIA, 20.04 - 24.11 2024
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Immergersi nei vari padiglioni della Biennale d’Arte di Venezia è senza dubbio un’esperienza totalizzante, intensa e talvolta un po' caotica.
Il tema di questa edizione, "stranieri ovunque", sorprendentemente ispirato dal nome del collettivo anarchico Torinese che nei primi anni Duemila lottava contro razzismo e xenofobia in Italia e ripreso dal collettivo Claire Fontaine, apre spunti di riflessione profondi. Come ha affermato il curatore Adriano Pedrosa, «L'espressione “Stranieri Ovunque” ha più di un significato: Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada, ovunque ci si trovi, si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo che, a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri».
Devo confessarlo: non condivido questa visione. A mio parere si tratta di una lettura eccessivamente pessimistica della condizione umana, che vede il disagio dell’essere “stranieri” come un aspetto preponderante. Credo questo sia solo uno dei lati della medaglia. La vera bellezza dell’essere umano risiede nel suo costante, lento migrare, non solo fisico ma anche mentale e culturale. Questo processo di evoluzione e trasformazione è, secondo me, fonte di immenso arricchimento. Nella mia visione della vita e dell’essere umano, l’apoteosi è sentirsi a proprio agio in ogni situazione, abbracciando il contatto con culture e persone diverse. Questo incontro non solo arricchisce dal punto di vista antropologico, ma favorisce una profonda comprensione di altri mondi attraverso, tradizioni, religioni e scelte personali. In questo senso, essere "stranieri" non è una condizione di solitudine o disagio, ma una preziosa opportunità di apertura, di crescita e connessione con ciò che è diverso da noi.
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Tre opere in particolare, non a caso simili tra loro e legate al mondo della videoarte, rimarranno come un prezioso ricordo di questa edizione regalandomi una sensazione di profonda sintonia con gli artisti e i protagonisti dei video rappresentati:
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GABRIELLE GOLIATH - Personal Accounts (2024)
Quello che colpisce immediatamente entrando nella sala buia, illuminata dalle luci blu dei monitor è il suono, o meglio i suoni: dalla dolce cantilena ai frammenti di frasi sapientemente interrotti e ripetuti in un loop infinito. Accenni di parole, frasi, che sembrano incapaci di uscire del tutto, come se fossero trattenuti. Persone che mormorano, balbettano, si torcono le mani, tentano di leggere, ma la voce non esce, è solo un balbettio che fatica a prendere corpo e resta così, sospeso. Il connubio tra immagine e suono genera immediatamente un senso di empatia, ti spinge all’attesa, all’ascolto e infine di comprensione e compassione. Quasi ad aspettare che le parole escano, che il discorso diventi compiuto.
Il progetto è nato nel 2014 per parlare di diseguaglianze, violenza e oppressione.
Sono testimonianze di persone di colore, trans, queer, non binarie, che nel drammatico mormorio non trovano nemmeno le parole per raccontare l’orrore delle violenze e dei traumi subiti. Le parole sono cancellate, interrotte. Resta un infinito vuoto, un dialogo silenzioso fatto di suoni quasi impercettibili, rimane l’immagine di queste persone ma non i loro pensieri, poiché la cancellazione delle parole ne impedisce un vero racconto “vocale”.
Padiglione POLONIA - OPEN GROUP collective - Repeat after Me II
I suoni della guerra come in un terribile karaoke: Repeat After Me II del collettivo ucraino Open Group è stato realizzato in due campi di rifugiati, uno vicino a Lviv in Ucraina e l’altro in Occidente durante i primi mesi del conflitto ucraino.
"Il contrasto tra le opere del 2022 e del 2024 – hanno dichiarato gli organizzatori – rivela la continuità drammatica della memoria, così come i cambiamenti nella tecnologia bellica”. Il video parte dal nome di un’arma o comunque di un elemento sonoro cha caratterizza la guerra, riprodotto insieme a un testo di descrizione. Successivamente compare un rifugiato che imita con la voce il rumore e infine, invita il pubblico a fare lo stesso.
I protagonisti sono tutti rifugiati civili che raccontano la guerra attraverso i suoni delle armi o delle situazioni che ricordano. Osservare l'opera da spettatori, o volendo parteciparvi attivamente, è un’esperienza che appare inizialmente ludica ma che si rivela profondamente toccante. Come in un qualsiasi bar-karaoke, il visitatore può sedersi, parlare con altri avventori oppure prendere il microfono e partecipare attivamente alla performance, ripetendo i suoni e le parole che appaiono sullo schermo. Sibili, esplosioni, rumori metallici, bizzarri vocalizzi e suoni innaturali vengono riprodotti dalla voce di chi quei suoni li ha uditi realmente.
Repeat After Me II è un ritratto collettivo dei testimoni della guerra in Ucraina, un modo leggero e al contempo incisivo per tramandare, se mai ce ne fosse bisogno, gli orrori di ogni conflitto. Dove i suoni della guerra, in fondo, sono sempre gli stessi, in ogni guerra, ovunque nel mondo.
BOUCHRA KHALILI - The Mapping Journey Project _ Constellations Series
Una mano traccia segni su una mappa che appare uguale per tutti, ma basta osservare con attenzione i monitor che riempiono una delle sale della Biennale per scoprire che i percorsi sono diversi, alcuni sono brevi, altri più lunghi, talvolta tortuosi, e in certi casi tornano al punto di partenza. È una danza tragica, è il racconto di un viaggio che passo dopo passo disegna traiettorie uniche e irripetibili.
C'è chi si ferma per un giorno, chi per mesi, chi per anni. Chi torna indietro, cambia percorso, ricomincia da capo, spinto da un’ostinato desiderio di trovare ciò che sembra sfuggirgli. Quei punti segnano le tappe del viaggio, creano nel percorso la personale costellazione di ogni migrante. E ci si ferma, rapiti dal racconto, ad immaginare la strada, gli ostacoli di quel lungo percorso, tortuoso, difficile, eppure raccontato da voci pacate, serene di chi del viaggio ha fatto il suo personale sogno. È un racconto delicato, pieno di pudore quello raccolto dall’artista che lascia scorrere le parole come il tratto di un pennarello sulla cartina, apparentemente semplice e immediato, ma che in realtà svela un viaggio interiore complesso e profondo, una ricerca verso la vita.
The Mapping Journey Project è stato elaborato nel corso di tre anni attraverso le rotte migratorie mediterranee, collaborando con rifugiati e cittadini apolidi dell’Africa settentrionale e orientale, del Medio Oriente e dell’Asia meridionale. Oltre al video il progetto trova la sua felice conclusione in Constellation Series una serie di serigrafie che traducono i viaggi narrati sotto forma di costellazioni, facendo riferimento all’astronomia antica radicata nella mitologia. Khalili invita così gli spettatori a proiettarsi attivamente nella costellazione per immaginare collettivamente altri modelli di appartenenza.
Un filo comune lega queste opere, dove la violenza, la guerra e la migrazione forzata sono raccontate in modo delicato, poetico. In queste opere la denuncia si fa più forte proprio perchè non è urlata ma dolcemente sussurrata. A ricordarci quanto l’essere umano pur nelle condizioni più atroci conservi sempre la speranza, la fantasia.